III
LE SUE ABITUDINI DI VITA

 

...TRA I FRATI

Al termine del noviziato, fra Umile venne subito inserito nella fraternità della città di Bisignano, nel convento fondato tra il 1219 e il 1222 dal Beato Pietre Cathin, inviato dal Serafico Padre S. Francesco ad impiantare l'Ordine nella regione. Annessa il convento è una Chiesa dedicata a S. Francesco Stimmatizzato. Qui il nostro Santo continuò lo stesso stile di vita intrapreso a Mesoraca. Era attento nel praticare la regola; le era, anzi, fedele fino allo scrupo­lo. Con i fratelli era pieno di carità e bontà. La luce che derivava dai suoi atteg­giamenti era tanta che si rifletteva persino all'esterno in un volto sempre sereno e arricchito da un costante sorriso. Tenacemente assorto in Dio, fra Umile era diven­tato, così, la delizia dei suoi frati che in lui scorgevano un modello da imitare.


... FRA LA GENTE

Quando era costretto ad uscire dal convento per svolgere i servizi richiesti, attirava a se, con i suoi occhi umili, anche lo sguardo della gente soffermando­si, però, con i laici solo per brevi conversazioni; Il suo aspetto era scarno a causa delle continue penitenze e vederlo era come avere una visione del cielo. Molli allora si recavano da lui per avere un consiglio, venendo anche dai paesi limitrofi altri gli chiedevano di essere accompagnati nella vita spirituale. Egli, pur accogliendo queste dimostrazioni di stima, non si allontanò mai dallo spi­rito di umiltà che fu sempre una delle sue caratteristiche. Si tenne, anzi, fedele il nome che portava e che descriveva l'essenza della sua vita: umile.

 

NELLA PREGHIERA

Amava profondamente starsene da solo nella sua cella, se la vita frater­na e i lavori di casa glielo permettevano, oppure lo si trovava spesso in un cantuccio del coro a meditare sulle realtà divine o a piangere i peccati del mondo, a purificare con la penitenza le colpe dell'uomo.

Dedicava molto del suo tempo alla preghiera, tanto comunitaria quanto personale. In quest'ultima, in particolare, lasciava che il suo cuore si libe­rasse in espressioni ricche di dolcezza e gratitudine. Pur essendo illetterato, sapeva insaporire le parole che rivolgeva a Dio, e meglio di qualsiasi sapien­te era sceso nel cuore dell'amore di Dio.

Aveva infatti capito che nell'Eucarestia stava la salvezza dell'uomo, che in quel grande dono divino non si custodiva solo la generosità di un sacrificio ma anche e soprattutto la bellezza e la tenerezza dell'amore. Le parole della sua Preghiera davanti al tabernacolo ci rivelano la sponsalità con cui fra Umile ricambiava il suo Amato: «Colà anima mia, sta il Divino, e celeste Dio, sposo tuo, quello, che scende dal Cielo per visitarti: Colà vi è il tuo tesoro infinito: Colà sta tutto il Buono, tutto il vago, e tutto il bello del Paradiso; Colà sta la tua buona, e santa ventura. Il tuo onore, il tuo contento, la tua vita, e la tua Gloria eterna; miracolo ben mio, guardarlo gioia mia, amalo cuor mio, e ricevilo Anima mia; Qui t'inebrierai nella cella vinaria del tuo Giesù Amabilissimo; qui arderai, ed abbrucerai d'Amore verso Dio, ed il tuo prossimo; qui cominceranno a morire le tue passioni in te; che più? qui comincerai a morire, e trasmutati tutta, e ti trove­rai tutta involta nelle Santissime Piaghe del i Piedi, e delle Mani, e nella caver­na del Petto di Giesù tuo dolcissimo sposo; e legata non solo colle viscere, e rac­chiuse nel Chore istesso del tuo Giesù, come Iddio incarnato, nato, appassiona­to, morto, e resuscitato; tramandati ancora unita in unione ineffabile in fin coll'Anima del tuo Amante sposo nel più ascosto secreto della sua camera: Ma ti troverai, (o gran cosa) tutta persa, tutta smarrita nell'immensissimo abisso delle Divina Essenza, e tutta unita dell'unione ineffabile con il tuo immensissimo, ed amabilissimo Iddio, tuo creatore, et eterno Glorificatore.»

La familiarità ormai gustata nel rapporto con Dio gli dava l'audacia di rivolgersi anche alla SS Trinità: "abisso d'amore" è la sola parola con cui egli riusciva a definirla e a pregarla degnamente. «O Padre, o Figliuolo, o Spirito Santo, o Padre eterno, o Figliuolo sapienza del padre, o Spirito Santo amor, e fuoco divino, affogatemi in questo mare d'amore, e sommergetemi in questo Pelago, ed abissatemi in questo abisso d'amore; e della Santa Perfettione. O Santissima Trinità abruggiatemi, e consumatemi in quest'ar­dentissima fornace del vostro amore. O Santissima Umanità del mio Giesù pregate per me, come uomo, e datemi come Dio mio Creator, e Redentor questo Santo Amore»: se pronunciassimo interiormente e con fede le sue parole potremmo comprendere quale amore generassero queste parole.

Il Signore aveva fatto dono a fra Umile di pregare con fervore e, perché que­sta inclinazione divenisse perfetta nel quotidiano, gli aveva fatto scorgere un luogo in cui la preghiera sarebbe potuta diventare intimissima. Mentre lavorava nell'orto del convento, un giorno, intravide in un angolo un'antica grotta. Stava pulendo dai rovi e dalle spine quello spazio quando si accorse che in fondo a que­sta caverna scorreva dell'acqua limpida. Fra Umile, che pur non avendo molta cultura era un attento ascoltatore, si ricordò di aver sentito in coro i racconti degli antichi profeti, dei padri della chiesa e dei santi che amavano nascondersi in que­sti luoghi segreti e bui per pregare il Signore. Lo stesso S. Francesco prediligeva salire sul monte della Verna, dove abbondavano gli incavi nelle rocce, per prega­re nelle spaccature della terra. Fra Umile iniziò a frequentare questa grotta seguen­do l'esempio dei più alti mistici ed esso divenne il luogo di dolcissimi privilegi. Naturalmente, le tentazioni e le difficoltà umane lo accompagnavano fin dentro la caverna: la vittoria su di esse santificò questo luogo che, nel tempo, con l'acqua che ne sgorga, si è dimostrato fonte di molte grazie per chi vi prega con fede.

 

...A LAVORO

Durante gli anni di vita a Bisignano, il Padre guardiano affidò a fra Umile la cura dell'orto. E a questo periodo risale un prodigio che spiega bene lo spessore dell'obbedienza del nostro Santo.

Un giorno, infatti, egli stava piantando i cavoli nell'orto del convento, quan­do ad un tratto gli si avvicina il Padre guardiano che gli dice: "Fra Umile, non sai nemmeno piantare i cavoli! Dammene uno che ti mostro come si fa!". Obbediente, il fraticello porge una piantina e la zappetta il suo superiore che, afferratala, pone le foglioline nella tenia e le radici in aria. Quindi, mostrando la povera pianta capo­volta e restituendo gli arnesi a fra Umile, sentenziò: "Così devi piantare i cavoli!". Non si sa se quello fu uno scherzo del Padre guardiano o una prova; ciò che è certo è che il nostro fra Umile non rispose né si oppose al comando ma, con semplicità, lo eseguì alla precisione. Ricompensando la docilità del suo servo, il Signore per­mise che quei cavoli crescessero perfettamente e velocemente: già il giorno suc­cessivo, infatti, si poté preparare una pietanza per i frati a base di cavoli!

 

 

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