IX
A ROMA DAL PAPA
La santità della vita di fra Umile aveva ormai oltrepassato i limiti
dell'Italia del sud e, nella figura del Papa, raggiunse l'intera cristianità:
anche Gregorio XV, infatti, volle conoscere questo frate di cui aveva avuto
notizia. Il Nunzio apostolico di Napoli ebbe l'incarico, nel 1621, di
condurre a Roma fra Umile.
Egli, che si era da poco dedicato alla Provincia siciliana, si stupì
dell'inaspettata richiesta del Pontefice e iniziò a temere per il
nascondimento e il riserbo che
desiderava custodire. I più rammaricati di questo viaggio furono i
messinesi che già iniziavano ad abituarsi a quella modesta figura, ma anche
i frati calabresi, e in particolar modo i suoi compaesani che temevano di
non vederlo mai più rientrare a casa. Il nostro Santo, prima di partire,
consolò tutti predicendo che sarebbe tornato e che avrebbe accolto la morte
a Bisignano.
Giunto a Roma, venne accolto dal Papa con molta affabilità: questi sin dal
semplice vederlo ne ebbe una buonissima impressione e sentì nel
proprio animo una grande consolazione.
Fra Umile, a sua volta, davanti al Pontefice fu rapito in estasi e vi
rimase talmente a lungo che il Papa fu costretto a richiamarlo. Dopo un
incontro così esaltante, fra Umile volle
confessare le proprie colpe al Papa che, come penitenza, gli chiese di
ritornare da lui dopo aver fatto il pellegrinaggio alle sette basiliche
romane.
Nel tempo del suo soggiorno nella Città eterna, fra Umile risiedette nel
convento di S. Francesco a Ripa dove si trovò circondato da frati che
volevano conoscere sempre meglio il suo
spirito. Ognuno di loro si convinse
poi che quell'uomo aveva in cuore una serenità non comune e che era una
nuova e rinnovata immagine del loro Padre fondatore S. Francesco. La
condotta della sua vita in quella grande città non fu diversa da quella dei
piccoli conventi della Calabria: era sempre intento nella preghiera, il suo
volto era profondamente felice; l'obbedienza continuava a
contraddistinguerlo e il suo impegno in casa era fedele e servizievole.
Anche a Roma, dunque, divenne il beniamino della fraternità e fu molto amato
dai suoi confratelli.
Non usciva quasi mai dal convento se non per andare dal Papa e per far
visita alle basiliche. Per evitare che in queste uscite durante le quali
non mancavano tanto le estasi quanto i
curiosi - la calca della gente lo disturbasse, i superiori permisero a fra
Umile di uscire di notte in compagnia di un altro frate a lui molto legato.
Come per il viaggio verso la Sicilia, anche in queste uscite si ripeterono i
prodigi: l'acqua non bagnava i due pellegrini, né il fango li sporcava. In
alcuni casi si videro anche dei raggi di luce emanare dalla figura del
fraticello assorto in contemplazione e sospeso in aria.
Il sentimento che il Pontefice provava per fra Umile era certamente di
fiducia e stima, poiché numerose volte lo convocò in udienze private per
discutere con lui di questioni molto serie per la Chiesa Cattolica; a questa
fiducia si aggiunse, poi, anche una personale amicizia fra i due che
nutrivano gli stessi sentimenti d'amore per Dio.
Quando Gregorio XV si ammalò, dopo aver consultato i medici che temevano il
peggio, il Pontefice mando a chiamare fra Umile che, invece, gli garantì che
presto sarebbe guarito. L'episodio si ripeté una seconda volta l'anno
successivo, ma in questa occasione fra Umile comprese che Gregorio sarebbe
morto per quella malattia, e così fu di li a poco: il Papa morì, infatti,
nel luglio del 1623.
Credendo di non essere più necessario dopo la morte di Gregorio, e chiesto
il permesso ai superiori, fra Umile si preparò a partire per ritornare
nella sua Calabria. Ma un mese dopo l'elezione, il nuovo Pontefice (il Card.
Barberini divenuto Urbano VIII) chiese di fra Umile e, saputo che stava
preparando il suo rientro, lo volle accanto a sé in Vaticano. Fra Umile fu
nuovamente accolto dal Papa con benevolenza paterna. Ogni settimana si
recava in udienza e spesso si tratteneva a lungo per discutere con il
pontefice o per parlare di teologia. Tutti i loro incontri si concludevano
con la richiesta di pregare sempre più per i bisogni della cristianità.
Nei primi anni del pontificato di Urbano VIII, fra Umile ricevette
l'obbedienza di recarsi a Napoli per soddisfare il desiderio della nobiltà
napoletana che voleva conoscerlo. Ancora una volta, la stima dei laici
poteva mettere in difficoltà la sua umiltà e fra Umile se ne lamentava
amorosamente con il Signore. Considerava la vita di quei nobili come vuota e
superficiale e desiderava raggiungere presto la Calabria per ritornare
nella solitudine e nel silenzio. Quanto più nel suo cuore cresceva questo
desiderio tanto più la Calabria, ormai vicina, si allontanava.
Dopo queste brevi soste il nostro frate rientrò a Roma e vi visse anni molto
intensi ma segnati dalla malattia: egli si ammalò gravemente due volte di
una forma acuta di colite che limitò terribilmente la sua capacità digestiva.
Fra Umile credeva che quelle malattie servissero alla purificazione della
sua anima e che i loro termine avrebbe dovuto vivere più santamente. In
realtà esse non lo abbandonarono mai e furono l'occasione per i suoi
confratelli di conoscerlo meglio: molti di loro lo assistevano con attenta
cura. Egli ringraziava tutti e la sua riconoscenza si arricchiva di
espressioni piene di tenerezza: si sentiva edificato dall'amore che gli
veniva offerto perché credeva di non essere meritevole d'altro che finire
in un letamaio. Ogni sofferenza era sopportata con eroica ed esemplare
pazienza. A loro volta, i frati stimavano infinitamente queste espressioni
di umiltà e di pazienza e lo amavano sempre di più, seguiti da tutti coloro
che venivano a conoscerlo. Lo stesso Papa Urbano, per esempio, soleva
chiamarlo "uomo pieno dello Spirito di Dio".